Quando il Fotografatore PoP è in vacanza

27.09.2019 13:57

Ci sono due cose che mi piacciono moltissimo in relazione alla fotografia.

La prima sono le persone. Mi affascina la fotografia delle persone. Mi piace aggirarmi (non pigliatemi per un maniaco però) in certi cimiterini di paese con tombe vecchie anche di centocinquant’anni e guardare le foto di persone sconosciute. I loro ritratti, il nome e due date sono tutto ciò che ci rimane, ma non è poco: con queste scarne informazioni si può esercitare la fantasia e immaginarie le loro storie, le loro vite, i loro caratteri.

E poi mi piace l’Italia. Mi piace il campanilismo, quel campanilismo sano che è figlio e custode di tradizioni antiche. Basta spostarsi di poche province e già si scoprono cose nuove, lingue nuove, tradizioni nuove.

Quindi cosa c’è di meglio che andare in vacanza in qualche regione italiana, ragionevolmente lontana, conoscere le persone e fotografarle? In vacanza mi piace riprendermi il tempo e siccome odio i supermercati vado in cerca dei produttori locali. Negli anni abbiamo incontrato macellai, fornai, contadini, pescatori, locatari, abitanti del posto. Ciascuno con la sua storia: dal vecchio mezzadro toscano all’allevatore terremotato, dal cipollaro che parla solo in dialetto all’olivocoltore. E ascoltare le storie di queste persone è sempre un arricchimento, una scoperta di vite affascinanti.

Quest’anno per le agognate vacanze siamo tornati al sud dopo tanto tempo. Bambini piccoli e viaggi lunghi, nella stessa frase, non fanno per me.

Mare, profumo di macchia mediterranea. Calore.

 E’ domenica mattina, primo giorno nella nuova realtà. Appena sveglio scatta la modalità “vacanze” che, per quanto mi riguarda, dopo un generoso caffè prevede il rito gazzettasettimanaenigmistica (tutto attaccato, si). Il giorno prima, arrivando, abbiamo visto nella piazzetta del paese il negozio con la scrItta “Tabacchi e giornali”. Senza indugio mi ci dirigo, parcheggio, riguardo l’insegna (non si sa mai, ci vedo poco) ed entro. Il locale pare deserto, tranne che per l’austera proprietaria. Vedo solamente tabacchi e slot. “Gentile signora, mi scusi, dove sono i giornali?”

Quella mi guarda come il faccino stupito di whatsapp e poi mi fa “Nooo, signo’, ma quanno mai? Ma quali ggiornali? Noi non siamo ggiornalai!”

 

Al secondo giorno di villeggiatura scoppia, inaspettata, la tragedia. La caldaia non funziona, siamo costretti a fare la doccia gelata. E’ estate, certo, ma di sera è comunque un tantino sgradevole. Provo a dare un occhiata ma non c’è verso di farla partire. Mia moglie chiama il proprietario e quello le dice che bisogna chiudere il rubinetto di una bombola e aprire “quell’altro”. Seguiamo le precise istruzioni ma la caldaia non dà segni di vita. Lo richiamo io.

“Senta signor A. la caldaia proprio non va. Qua i piccoli si devono fare la doccia gelata”

“Ma avete fatto come vi ho detto?”

“Certo –ribatto- aperto questo e chiuso quell’altro”

“ Mah, mi sembra sc-trano, sino a ieri funzionava…”

“Guardi, signor A., secondo me il problema è che…”

Mi interrompe: “Eeeh lo so ma io non sono idraulico!”

“Si nemmeno io -preciso- ma volevo dirle che secondo me il problema è elettrico perché accendendo l’interruttore la spia rimane spenta. Secondo me non arriva corrent…”

Mi interrompe di nuovo: “Eeeh ma io non sono elettricista!”

“Guardi, facciamo così. Noi per stasera ci facciamo la crioterapia, ma per domani riesce a mandarmi qualcuno?”

L’indomani mattina, preciso come una guardia svizzera al cambio di guardia, il signor A. si presenta alla porta.

“Buongiorno, sarei venuto per il saldo dell’affitto”

“Come no – ribatto – sarò lietissimo di saldare immediatamente dopo aver fatto una doccia appena appena un po’ tiepida”.

Incredibilmente, dopo una ventina di minuti, arriva l’idraulico il quale scopre celermente che il malfunzionamento è dovuto a un guasto elettrico. Esce l’acqua calda. Gli chiedo spiegazioni, hai visto mai che il problema di ripresenti.

“Eeeeh signo’ ho toccato un po’ di questi fili e un po’ di quell’altri.”

“Potrebbe – chiedo cortesemente – spiegarmi meglio?”

“Eeee signo’, vedete, io mica sono ingegn-iere”

 

Sono passati cinque giorni. Tutto bene, grazie.

Ma c’è il problema della spazzatura. Che si accumula.

Cassonetti in giro non se ne vedono e il signor A. ci ha pazientemente spiegato che da due settimane è partita nel territorio comunale la nuova raccolta differenziata.

Ottimo! Ci siamo abituati.

Il punto è che nessuno sa come funzioni. Il signor A. dice che al comune “dovrebbero” avere un volantino esplicativo.

“Scusi signor A., ma lei come fa?”

“Signo’ mica sono casalinga io, ci pensa mia moglie”

“Allora possiamo chiedere a lei” ribatto speranzoso.

“Nooo signo’, nun ne capisce nulla pure lei”

Va bene, andiamo al comune e troviamo il fantomatico volantino. Spiega che ogni giorno della settimana passano i mezzi porta a porta per la raccolta differenziata: l’umido va nei bidoni bianchi, il secco nei gialli, il vetro nei verdi, la plastica nei blu… Eccetera eccetera.

“Scusate, ma i bidoni?”

“Signo’, nun ci stanno”

“E quindi come possiamo fare?”

“Signo’, mica siamo commercianti di bidoni, noi!”

Così ogni mattina si possono vedere appese agli alberi e ai cancelli lunghe teorie di sacchetti multicolore.

All’alba del sesto giorno (la spazzatura accumulata sta fermentando come il mosto a san Martino) becchiamo due simpatici operatori ecologici che stanno svuotando dei cestini pubblici sul lungomare.

Alla richiesta di qualche spiegazione su come conferire le nostre schifezze il più anziano dei due mi fa:

“Eeeeh signo’ che ci volete fare? Io non sono mica il sindaco!”

 

Niente da fare. In questa vacanza si incontrano sempre le persone sbagliate nel posto sbagliato. Dovrò rassegnarmi a fotografare panorami e figli che scavano buche nella sabbia.

 

Pochi giorni prima di terminare la nostra villeggiatura, dovendo acquistare un po’ di frutta e verdura, ci imbattiamo in un chiosco lungo la provinciale. C’è scritto “produzione propria”.

Conosciamo così un'arzilla coppia ultrasettantenne che gestisce svariati ettari di terreno e di uliveti.

Chiediamo se abbiano delle zucchine e lei risponde:

“Certo signo’ come no? Quante ne volete?  Un chilo? Due? Tre?”

Dopo di che sparisce nel retrobottega. Dopo una decina di minuti la vediamo tornare con un cesto di vimini colmo di zucchine ancora sporche di terra: chilometro zero? No, ancora meno di zero.

All’improvviso entra una signora che sembra uscita da una foto in bianco e nero. Ma è a colori. Indossa un cappellone di paglia e dietro un paio di occhialoni con la montatura in plastica brillano due occhi del colore del cielo. In una mano ha un coltello sporco di terra e nell’altra una zucca d’acqua, una specie di zucchina lunga almeno un metro! E’ la signora G., 94 anni portati magnificamente, fondatrice dell’azienda di famiglia.

Mi racconta che sta ancora viva e veggeta (due gi) perché ogni mattina scende nei campi a raccogliere la verdura fresca.

A questo punto saltano tutti i freni inibitori: mi fanno fare un tour nei campi di pomodori e nel frutteto di pesche. Mi raccontano la loro storia. La fatica di raccogliere le olive in montagna. La crisi dell’agricoltura italiana. Gli anni sul groppone. Nessuno con la prospettiva di rilevare e rilanciare l’azienda.

“Signo’, finché ce la facciamo tiriamo a campa’ e poi sarà quel che Dio vuole!”

Ma lo dice serena, non ha rancori.

Alla fine ce ne andiamo con 20 chili di roba tra frutta e verdura: zucchine, melanzane, pomodori, peperoni, aglio, cipolle, origano, pesche, prugne…

“Signo’, buone vacanze e buon ritorno al nord!”

E’ un attimo.

“Signora, posso farvi una fotografia?”

“Ma chi? A me?”

“No no, a tutti e tre!”

Finalmente le ho trovate: le persone giuste al posto giusto. E le loro storie. Fotografia PoP.

Sospirone.

Salutiamo, stiamo per andare.

Mi cade l’occhio su alcune bottiglie di vino allineate su una mensola. Il vino ha un bellissimo colore paglierino.

“Senta, lo produce lei quel vino lì?”

“Certo signo’” risponde fiero.

Vorrei fare sfoggio della mia cultura enologica: “E senta, che vino è? Fiano? Greco? Trebbiano?”

Da queste parti lo chiamano il nettare degli dei.

“Signo’, e io che ne so? Non le ho mica piantate io le vigne. Fu mio padre!”