Il Fotografatore PoP e il giuramento di Ippocrate: Google ha sempre la risposta pronta. O no?
17.01.2020 19:58La vita, si sa, non è tutta rose e fiori. Almeno da un certo punto in poi.
I figli crescono, la barba imbianca, il corpo comincia a mandare segnali di disagio.
Tutto nella norma, pensi, ma poi all’improvviso, in un uggioso pomeriggio di fine inverno, la colica assassina ti aggredisce alle spalle. Anzi al colon. Dolori che nemmeno le partorienti (si lo so, se lo legge mia moglie mi opera a mani nude, ma si sa che la soglia di dolore maschile è assai diversa da quella femminile…).
Non resta che andare dal medico di base.
Il medico di base, per noi maschi, è generalmente una figura mitologica: arrivati all’età adolescenziale, stanchi delle sue palpatine e delle sue supposte, l’abbiamo abbandonato a se stesso. Senza ripensamenti.
Ma la vita è un cerchio.
Mi sovviene, mentre cammino verso l’ambulatorio, la famosa citazione attribuita a Ippocrate: “Le cose sacre non devono essere insegnate che alle persone pure; è un sacrilegio comunicarle ai profani prima di averli iniziati ai misteri della scienza”. Che significa, all’incirca, che è meglio evitare di farsi le auto diagnosi elencando i sintomi a Google. Così, seppur controvoglia, suono il campanello.
Mi accompagna il piccolo T., che lasciarlo a casa da solo pareva brutto.
E già solo varcare quella soglia è una sorta di nemesi. L’appuntamento era per le 15.50. Entrerò nello studio del dottor L. solamente un’ora e venticinque più tardi. Quando entro, insieme a mio figlio, mi accoglie con un “Carissssimo, qual buon vento?” .
Il mio personale Ippocrate è molto diverso dalle illustrazioni che lo ritraggono austero, la calvizie incipiente, la barba bianca curata alla moda greca.
Il serpente che sedusse Eva doveva avere lo stesso tono di voce.
Gli spiego i sintomi e mi accorgo di aver destato la sua attenzione perché improvvisamente alle parole “coliche al basso fianco sinistro” smette di giocare al solitario e mi guarda speranzoso. Mi fa togliere la maglietta e comincia a palparmi (te pareva) la panza.
Quando mi risiedo, il dottor L. si sta fregando le mani e mi guarda con malcelata soddisfazione. Sta certamente pensando “prima o poi tornano tutti”. Scrive al computer, vuole sapere un sacco di robe. Ma ci tiene particolarmente a sapere la mia età. Quando gli do la mia data di nascita lo vedo trattenere a stento un moto di esultanza. Mi chiede se posso dedicargli 10 minuti.
Acconsento e lui chiama immediatamente l’infermiera al citofono e le dice testualmente: “preparami un modulo di rischio”.
Scusi, rischio de che?
Dopo un’altra abbondante mezz’ora di attesa (i tempi di attesa dei medici sono come la loro calligrafia: imperscrutabili) entro dalla sua infermiera. Sempre in compagnia del piccolo T.
Quella comincia a misurarmi la pressione e storce la bocca: minima troppo alta.
Il tenero T. mi guarda agitando il ditino e se ne esce con un “Eh eh eh eh…” di rimprovero.
Poi lei mi chiede di salire sulla bilancia. Con un certo imbarazzo salgo sull’orrido macchinario. Inesorabile, segna 85 chilogrammi.
“Booooia, papà!” esclama il simpatico T.
Poi, non paga, vuole che sollevi la maglietta e con un metro pretende di misurare la circonferenza della mia pancia. Ad alta voce, con una chiara nota di scherno mi dice “100 tondi tondi!”
L’amabile T. prorompe in un “Cosa? CENTOOO???”
Il giovanotto pagherà a caro prezzo la sua impudenza, è evidente, ma intanto mi tocca rispondere alle varie domande della mia aguzzina. Vuol sapere che mangio, se fumo, se bevo. “Birrettine ne beve?”
“Beh, certo, qualche birretta si” rispondo ostentando sicurezza.
“Ahahahahaha QUALCHE birretta… Maddai papi…”
“E che sport pratica?” mi chiede incalzante. Glielo spiego ma quella sostiene che la serata Champions dal divano non conta come sport.
Dopo gli ennesimi “dieci minuti” di attesa torniamo dal medico. Appare risoluto: mi fa un’impegnativa per tutti gli esami del mondo e una soprattutto per l’esame più contro natura di tutti: la colonscopia!
“Ma è proprio necessaria?” chiedo già dolorante.
“No, ma alla TUA età dovrebbero farla tutti”.
“Te piacerebbe” penso con determinazione.
Si sfrega il mento.
“Adesso, hai davanti due strade: la prima consiste nel prendere un paio di pastigliette al giorno e potrai continuare a fare la tua vita come se niente fosse”
Lo dice ammiccando vistosamente.
Mi torna in mente l’armadietto dei farmaci che, da bambino, vedevo dal basso a casa di mia nonna.
“E la seconda?” chiedo curioso.
“E la seconda è che tu cambi stile di vita: alimentazione, peso… Queste cose qua”
Lo dice scuotendo la testa con espressione estremamente scettica.
No, aspetta, sta proprio sghignazzando.
“Che dici, facciamo l’impegnativa per le pasticchette??”
Sono oramai passati i mesi e persino le festività coi loro bagordi.
Ho consultato il dottor D. che è un luminare di alimentazione. Mi ha citato, facendo un salto di quattro secoli, il motto evangelico “Medico cura te stesso” nel senso che le pasticchette “è meglio che se le mangi lui”.
Mi sono dato una bella regolata.
Ho perso un po’ di chili.
Mangio di tutto ma regolare ed equilibrato.
Mia moglie mi ha iscritto alla piscina.
La pancia è calata vistosamente. Inizialmente ho dovuto fare un nuovo buco alla cintura, ora mi è toccato comprare delle braghe nuove. Mi sento in forma, non ho più dolori alle ginocchia.
Così alla riapertura della stagione matrimoniale mi sono ripresentato in forma smagliante: danzando come una libellula intorno a spose e damigelle, volteggiando leggiadro con chili di attrezzatura, dipanandomi tra piogge torrenziali e temperature sahariane.
La forma fisica, la salute del mio colon e delle mie ginocchia sono tali che ho anche investito in una reflex più grossa e cattiva.
A proposito di colon… L’impegnativa per l’esame contro natura è sempre lì che mi spia ma finora ho fatto finta di nulla. E siccome Google dice che è consigliabile farlo dopo i 50 se si hanno familiarità con malattie brutte, io mi sono messo la coscienza in pace. Almeno per un po’.
Ma in certe fredde notti, specialmente dopo aver bevuto una scura, nel pieno della mia fase rem, mi appare in sogno Ippocrate in persona. Si mette immancabilmente alla destra del mio capezzale. Il dito in direzione dell’orrida impegnativa, il severo cipiglio: “Giuro per Apollo medico e per tutti gli dei, chiamandoli a testimoni, che eseguirò questo impegno scritto!”
Mi giro, madido di sudore dall’altra parte e con terribile sconcerto al posto di mia moglie c’è Umberto Eco che sibila: “E ricorda: il web da’ diritto di parola a legioni di imbecilli!”